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In questi giorni ha fatto molto scalpore sul Web un articolo pubblicato da Business Insider che si concentra su un aspetto piuttosto dibattuto relativo alla professione di social media manager, social media strategist, community manager e affini: le dinamiche che stanno dietro al processo di creazione – approvazione – pubblicazione di un post aziendale sui social media.

L’articolo, una sorta di “dietro le quinte” rispetto al lavoro di Huge, nota agenzia di comunicazione social, ha fatto scalpore poiché l’autore arriva a sostenere che il fatidico processo, che va dalla creazione alla pubblicazione di un contenuto sui social media di un’azienda, possa arrivare a durare anche 45 giorni e oltre.

Nonostante la successiva smentita dell’agenzia sulle effettive tempistiche, mi sembrava interessante cogliere l’occasione per riflettere insieme ad alcuni colleghi che stimo profondamente sulla specifica questione (formula già utilizzata da queste parti per una discussione sulle modalità di offerta più efficaci per Facebook Ads), tanto più che l’argomento era stato oggetto di un primo scambio di battute su Facebook…

 

Ho deciso di porre 3 domande che potessero aiutarci a sviscerare la questione, in base alle esperienze personali di ciascuno dei professionisti coinvolti. Dal momento che le risposte si sono rivelate più ampie del previsto, e poiché non mi sembra corretto troncare o tagliare i ragionamenti dei miei colleghi, ma neppure tediare i “miei quattro lettori” con un post difficile da masticare, ho diviso brutalmente l’articolo in due.

Oggi trovate dunque le risposte di Rocco Rossitto, Matteo Bianconi, Francesco Del Franco e Giulio Vaiuso. Domani invece quelle di altri 3 colleghi (sorpresa!).

Buona lettura e non esitate a chiedere ulteriori approfondimenti nei commenti al post.

1) Quali sono, secondo la tua esperienza personale, i passaggi davvero cruciali del processo di “creazione, approvazione e pubblicazione” di un post aziendale sui social network?

Rocco Rossitto: Il vero passaggio cruciale dovrebbe essere la parte strategica, che una volta ampiamente discussa e approvata dovrebbe lasciare libertà di azione a chi si occupa della gestione. Invece non avviene quasi mai. Quasi: più è grande il brand più vogliono controllare, ma vogliono che però faccia tutto tu. Mi spiego: se sai che quello status non funzionerà, che quella risposta dovrebbe essere così, se pensi che rispondere dopo 5 giorni sia giusto, che comunque bisogna mettere sempre il nome del brand X o del prodotto Y e via dicendo perché non internalizzi questa parte del lavoro invece di affidarla a freelance o agenzie che dovrebbero apportare quel qualcosa che tu non sei in grado di affrontare? Il paradosso è questo.

Matteo Bianconi: Negli anni ne ho viste davvero di ogni ed è per questo che penso che la pazienza sia una delle caratteristiche professionali principali di cui bisogna armarsi quando si lavora nella comunicazione. Le aziende (soprattutto) italiane sono ancorate al peso del controllo e più si è “grandi” più i tempi sono moltiplicati. Spesso un’agenzia (o un libero professionista) si trova di fronte a brief confusi con obiettivi altrettanto confusi e i passaggi cruciali sono proprio quelli dell’intrepretazione: bisogna cercare di capire sempre con chi si ha a che fare e mediare tra l’efficacia del messaggio e quanto il Cliente desidera. Tradotto: mi stai pagando perché in teoria tu non conosci questo mondo, ma pretendi che sia come immagini. Scusa la vena polemica, ma è per spiegare come spesso ci si trovi a lavorare. I passaggi cruciali sono quindi l’intrepretazione delle caratteristiche del Cliente e delle sue volontà, il dialogo, un’opera di convinzione/educazione ai nuovi media e infine la proposta. Bisogna sempre essere chiari: un conto è essere precisi, un altro è perdere tempo in giri immensi di approvazioni e controproposte. A volte capita che tanto lavoro finisca al macero perché ormai “s’è fatta ‘na certa”.

Francesco Del Franco: Credo vadano presi in considerazione la portata del brand e il target di riferimento. Nella creazione di una strategia di comunicazione, per quanto possa essere complesso, si deve far passare al cliente che non tutti i brand sono Oreo o Coca-Cola (non si può ricreare la stessa qualità) ma soprattutto che online non tutti siano consumatori di Oreo o Coca-Cola (non tutti gli utenti si aspettano quel livello di creatività). Non tutti i contenuti possono essere approvati prima della pubblicazione. I contenuti pianificati (campagne, eventi, lancio di prodotti/servizi nuovi), per i quali è prevista una creatività sia copy che visual, vivono un ciclo di lavoro che quelli legati al marketing in real time non possono fare. Questi ultimi sono sempre un “mezzo salto nel vuoto” sta al gestore della comunicazione a generarli rispettando i valori e gli obiettivi aziendali.

Giulio Vaiuso: La risposta a questa domanda cambia a seconda del tipo di post che vogliamo considerare.
Se parliamo di un post del tipo “Always On”, quindi reazione immediata ad un avvenimento o stimolo esterno, queste tre fasi devono avvenire in in rapida successione. E’ essenziale avere una “war room” in cui convergono fisicamente creativi, dipartimento legale e i decision maker lato cliente, pronti a reagire all’imprevedibile. Solo in questo modo si può arrivare ad un risultato come quello di Tide al blackout del Super Bowl.

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E’ chiaro che questo tipo di approccio è un estremo: non è sostenibile da parte di tutti i brand e tanto meno per tutti gli eventi, 24/7,e richiede una chiara puntuale pianificazione. Molto più conveniente e realista è stabilire una struttura agile per la creazione e approvazione di post di qualità. Dal mio punto di vista il passaggio fondamentale è quello che sta ancora prima della creazione: è nella ricerca che viene fatta a priori (via Social Listening ma anche via traditional planning research – quindi focus groups o interviste) per ottenere consumer insight potenti in cui il consumatore possa effettivamente riconoscersi. Questo processo non può essere improvvisato ma deve essere continuo e deve progressivamente creare una Insights Library a cui accedere all’occorrenza. Ovviamente questa ricerca deve concentrarsi sui territori creativi che il brand vuole dominare – ma non deve limitarsi a questi. Infatti brand più forti sul Social sono quelli che sono capaci dire la loro su argomenti non necessariamente correlati alla loro categoria, ma pur sempre lasciando la loro firma distintiva. In fondo cosa avrebbe fatto Oreo se avesse aspettato delle news relative ai biscotti per sentirsi autorizzata a dire la sua? Avere un post basato su un insight potente fin dall’inizio ridurrà significativamente la probabilità di averlo rifiutato dal cliente, e salverà molto tempo prezioso. Gli altri punti chiave per velocizzare questo processo consistono semplicemente nel rimuovere I colli di bottiglia lato agenzia e lato cliente. In entrambi I casi ridurre il numero di persone coinvolte nel processo di creazione/approvazione dei post è un passo indispensabile.  Si tratta di avere un team che veda chiaramente come il Social é forse meno importante (da un punto di vista di reach) della comunicazione ATL, ma sicuramente più urgente.  Last but not least: avere il Community Manager direttamente in agenzia o lato cliente e non in una terza agenzia che sia occupi per esempio di PR, é un altro fattore determinante per l’agilità del processo.

2) Qual è la formula migliore di organizzazione per soddisfare le “ansie di controllo” dell’azienda senza perdere freschezza, spontaneità e rapidità nei contenuti da veicoloare attraverso i social media?

Rocco Rossitto: Una via di mezzo, no? Bisognerebbe, ma non sempre ci riesco, far capire all’azienda che correre qualche piccolissimo rischio può solo che far bene. L’ideale sarebbe concordare il concordabile, dunque tutta una parte di piano editoriale possibile, e lasciare al social media manager una parte di libertà. La vera sfida è far entrare in sintonia le due parti, quando questo avviene (e certe volte è avvenuto) la magia si compie. Quando non avviene troverai tante immagini di prodotto 😀

Matteo Bianconi: Non credo che esista una “formula”, ma forse applicare una corretta metodologia può essere molto utile. Da un lato si deve prevedere un piano editoriale solido da proporre per tempo, insieme a grafiche, link, video e qualsiasi cosa ci sia utile. Dall’altro una metodica di lavoro basata sui “tempi corti”: se vogliamo essere tempestivi ed efficaci bisogna agire, non parlare. Come nei casi di crisis management, bisogna essere d’accordo sulle tempistiche. C’è questa cosa qui, te la propongo, mi devi dare l’approvazione o meno entro, toh, due ore. Se così non si può fare lasciamo perdere, altrimenti perdiamo tutti tempo, soldi e fatica. Poi dipende sempre dai casi e dal team di lavoro. Una delle migliori best practice degli ultimi dieci anni è di OREO. Come hanno fatto? Erano pronti con circa 15 persone attente a ogni singolo dettaglio durante il Super Bowl. Erano organizzati e il Cliente altrettanto in ascolto. Hanno colto un’importante opportunità, “rischiato” e vinto.

Francesco Del Franco: Conoscere bene il mercato di riferimento del brand è un punto di forza per ogni SMM. Conoscendo come i prodotti/servizi offerti dal brand possano essere percepiti dai clienti, prima della diffusione online, puoi offrire una consulenza preventiva volta a placare le future “ansie di controllo” del cliente. Il gestore della comunicazione sa su cosa può spingere e cosa invece deve essere taciuto, il tempo e i risultati gli offrono una maggiore “libertà di movimento” nella creazione di contenuti. Quando il brand e/o il suo mercato di riferimento è qualcosa a noi ignota, non ci resta che studiare.

Giulio Vaiuso: Creare, come detto prima, una piccola task force dedicata un team responsabile di esperti (max 4-5 persone). Ne deriva la necessita di assumere dei Community Manager professionisti e non delegare questo ruolo a persone inesperte, che finirebbero per rappresentare la voce del brand. Ci sono esempi illustri di cosa un CM brillante può fare, come quello di Innocent Smoothies in UK per citarne solo uno.


3) Come si può ovviare alla tendenza tipicamente aziendale del voler avere tutto sotto controllo, anche quando non si hanno probabilmente le competenze per farlo (come dimostra il fatto che il processo strategico/creativo è spesso totalmente esternalizzato)?

Rocco Rossitto: Tu mi chiedi la formula della Coca-Cola che io non so. Ti posso dire che io tendo al modello che dicevo sopra: entrare il più possibile in sintonia col cliente, o meglio far avvicinare il cliente alla mia visione su quel determinato progetto. Non sempre ci riesco, ovviamente. Quando poi calcano troppo la mano con il controllo certe volte mollo la presa fino alla fine del progetto e quando mi ripropongono di rinnovare ringrazio e rifiuto. Se me lo riproprongono s’intende. Vuol dire che non sono stato bravo a far capire alcune cose, o loro non hanno avuto orecchie per intendere.

Matteo Bianconi: In realtà il lavoro grosso si deve fare sempre prima di inserirsi in qualsiasi conversazione, che sia attraverso ads o qualche tweet: bisogna sedersi insieme al cliente e mettere giù policy e piani d’azione condivisi. Ci si può “perdere” anche un mese, ma una volta che le “logiche del gioco” sono chiare a tutti si può intervenire sempre in tempo, dando anche la giusta fiducia al Consulente o Agenzia che sia per, come dici te, non perdere occasioni importanti nello streaming quotidiano delle conversazioni.

Francesco Del Franco: La presenza. Non quella fisica, che in alcuni casi tranquillizza i dirigenti old style, ma quella quotidiana che può avvenire tramite strumenti formali (mail/call) o informali (chat/whatsapp). Il tutto dipende dalla portata del brand, dagli obiettivi pianificati e dal budget investito sull’attività. Creando un rapporto diretto si viene “accettati” come un membro effettivo della squadra, sarebbe meglio parlare di dipende, che dimostrando di conoscere la storia e i valori del marchio può prendersi la libertà strategico/creativa sui contenuti da veicolare sui social media.

Giulio Vaiuso: Far vedere al cliente le enormi possibilità che il Social rappresenta in termini di testare le acque con idee che possono essere relative ad  un concetto o una campagna. Se l’idea funziona può originare uno “spin off”, una serie di post sullo stesso tema, e può potenzialmente essere la base di qualcosa più grande come un’iniziativa o addirittura una campagna. Se il post non funziona la perdita in termini di investimento sarà minima e avremmo tratto degli insegnamenti a costi irrisori a paragone con quelli di uno spot TV.

Rocco Rossitto: Si occupa di strategie, gestione e creazioni di contenuti per la comunicazione aziendale soprattutto on line. Lavora con agenzie o altri freelance. Scrive su Wired.it, FrizziFrizzi e Collater.al. Ha creato insieme ad +Add Design il progetto di formazione itinerante ‘dieci cose – incontri pratici su come va il web oggi‘ (con cui sbarchiamo insieme a Genova a brevissimo!). Ha una passione per le newsletter, ne ha create due: Salsetta.it e Unacosaalgiorno.it .

Matteo Bianconi: Copywriter & Social Media Strategist, Matteo collabora da anni con agenzie, pubbliche amministrazioni e società. Nel tempo libero scrive per Fanpage.it, #6gradi del Corriere della Sera e Wired Italia.

Francesco Del Franco: Si definisce “un consumatore di cultura audio-video-testuale e negli ultimi dieci anni ho perso qualche diottria sul web, non mi erano bastate quelle smarrite giocando ai videogames. L’etichetta social media specialist è qualcosa che mi va stretto, non solo per i kg in abbondanza che mi ritrovo, ma per il fatto di essere modulabile (leggi instabile) e mi piace passare da un progetto all’altro facilmente”.

Giulio Vaiuso: Come Brand Planner a Saatchi & Saatchi London si occupa di Social e Content Strategy per brand di beni di consumo. Evangelista del Social in una agenzia creativa tradizionale, cerca di creare una connessione umana tra i brand e le persone che li adottano.

UPDATE: leggete anche le risposte di Dario Salvelli, Luigi Ferrara e Stefano Leotta sugli stessi quesiti