Un interessante spunto di Luca Carbonelli su Facebook a proposito di Social Media Marketing mi ha dato voglia e forza di finire e pubblicare uno dei tanti articoli in bozza ormai da qualche settimana (la produzione scritta del sottoscritto è purtroppo, o per fortuna, inversamente proporzionale alla crescita di Twow e a tutte le priorità che questa crescita comporta).

Il tema è attualissimo ed effettivamente centrale nel panorama del digital marketing attuale. In estrema (e provocatoria) sintesi, per usare le stesse parole di Luca: vale ancora dire banalmente che i social sono uno strumento utile all’azienda? E soprattutto, aggiungo io, che futuro si prospetta per l’attività di social media marketing e per chi se ne occupa a livello professionale?

In realtà sono diversi i temi chiave che Luca tocca nella sua arguta riflessione:

– i costi sono diventati importanti, sia perché l’advertising è conditio sine qua non (da queste parti lo vado dicendo da anni) sia perché l’evoluzione più sensata rispetto allo “scaricare a terra” queste attività sembrerebbe implicare sempre di più un investimento interno all’azienda. Ha davvero senso investire su questa attività? Quanto è un limite eventualmente sostenibile per questo investimento?

– le proposte che arrivano dal mercato appaiono limitate in un senso (il freelance non può garantire una competenza così trasversale) o nell’altro (la standardizzazione della maggior parte delle agenzie rispetto al piano editoriale da 3 post a settimana appare sempre più anacronistica). Cosa conviene effettivamente fare?

Su questi temi si è espresso in maniera molto intelligente anche l’amico Giorgio Soffiato con un post che vi consiglio di leggere e che ricalca, rispetto ai 3 punti su cui si focalizza, anche la posizione del sottoscritto :

1. siamo di fronte alla fine del piano editoriale riempitivo asincrono. “Il PED va fatto assieme al cliente, dal cliente, col cliente”;

2. i piani editoriali non esistono senza sponsorizzazione. “La verità è che sta buttando i soldi chi l’advertising non lo fa”;

3. se produrre e pubblicare contenuti rilevanti costa, perché non pubblicare di meno? è difficile sostenere un piano editoriale (…) con 5 uscite a settimana. Fatene due e non abbiate paura del bianco“.

Restando sul tema, trovo rilevante un recente articolo del guru Avinash Kaushik che decreta senza mezzi termini (e con un’evidente retrogusto amarognolo) la fine del social media organic marketing.

Se perfino il buon e indiscutibile Avinash “cade dalle nuvole” con una presa di coscienza definitiva sull’anacronismo della distribuzione organica nei social, forse abbiamo dato (sottoscritto in primis) troppo per scontata la situazione.

Personalmente trovo ormai anacronistico anche solo parlare di social media e dover ogni volta sottolineare la distinzione tra paid e organic. Eppure, a quanto pare, occorre continuare a fare chiarezza a costo di risultare ridondanti.

I social sono ormai a tutti gli effetti canali paid quando sono in modalità push, ovvero per la distribuzione di contenuto che deve generare ritorni sostenibili, mentre restano canali owned in modalità pull, ovvero quando si tratta di utilizzarli come estensione del servizio clienti.

Fare social” oggi non solo è utile, ma è indispensabile per:

 “parlare” a singoli gruppi ben definiti con qualcosa di molto personalizzato da dire. Ogni singolo post può effettivamente costituire una micro campagna a tutti gli effetti. Perché non approfittarne?

 costruire un primo pubblico di lookalike audience (per intercettare domanda latente) e retargeting (per re-intercettare domanda espressa) a costi bassi e con altissime possibilità di ritorno sull’investimento;

tenere un piede dentro al fenomeno chat bot e continuare a sfruttare le grandi possibilità relative al customer care. Qual è ancora oggi lo strumento più veloce per parlare ad un’azienda?

Gestione social interna, esterna o ibrida? In Twow stiamo sperimentando diverse tipologie di gestione social (per noi NON c’è Social senza Advertising, se ancora ci fossero dubbi!) e mi sento di dire che la gestione totalmente esterna ha effettivamente grossi limiti legati soprattutto allo sviluppo di competenze specifiche e verticali sui temi dell’azienda, mentre quella totalmente interna spesso può risultare onerosa o troppo tecnica (chi è dentro l’azienda può facilmente gestire un ped ma difficilmente essere specializzato in adv). Il giusto compromesso è spesso un ibrido che dipende molto dalle risorse a disposizione (persone, tempo, budget).

La sfida dev’essere quella di individuare e pesare esattamente le variabili in gioco e proporre al cliente una strada personalizzata che sia garanzia de “il migliore dei mondi possibili” tenendo presente che la componente editoriale/pubblicitaria vale tanto quanto l’organizzazione di una procedura funzionale per l’integrazione del social care con il servizio clienti tradizionale.

Andando oltre le modalità di gestione, il tema forse più interessante riguarda proprio il futuro del social media employer. Che fine farà il social media marketer? In ballo ci sono diverse questioni che riguardano in primis l’evoluzione del “mestiere” in termini di attività, attitudini e capacità:

– deve capirne e saperne (anche) di advertising. Punto e basta. Non esiste Facebook senza Facebook Ads, non esiste Instagram senza… Facebook Ads;

non può limitarsi a ragionare a tavolino sulle personas. Dev’essere in grado di costruire (strategicamente e tecnicamente) i pubblici a cui comunicare sfruttando le potenzialità di profilazione delle piattaforme;

non può comporre solo piani editoriali e post da pubblicare. Deve poter “scaricare a terra” micro campagne pubblicitarie su target specifici che, dato un investimento x, devono generare un ritorno y, il più possibile pesante e valutabile. Numeri, numeri e ancora numeri;

non può pensare al community management come qualcosa di slegato dalle dinamiche del servizio clienti dell’azienda. Social fa sempre meno rima con engagement e sempre di più con customer care e la difficoltà è quella di costruire percorsi virtuosi di risposta strutturata al cliente (in attesa della definitiva esplosione del fenomeno bot);

– competenze grafiche? Importanti. Competenze da copywriter? Importanti. Competenze tecniche? Importanti. Capacità e attitudine per fare da collante tra azienda e fornitori esterni o tra management e fornitori interni? Indispensabili.