fb-solo-com-adsNonostante in molti continuino a storcere il naso e/o fatichino ad accettarlo, Facebook dimostra oggi un’essenza profondamente ancorata a logiche pubblicitarie. Siamo davanti ad un bivio: far finta di niente e procedere nelle attività di Web Marketing come se nulla fosse o cercare di adattare strategie ed azioni a questo dato di fatto con l’obiettivo di ottimizzare il rapporto tra costi e benefici e generare risultati pesanti per il business. 

Prima di tutto però una serie di precisazioni per evitare di essere frainteso:

  • nessuno qui vuole negare l’importanza del contenuto. Potete spendere tutti i soldi che avete ma se il contenuto che decidete di sponsorizzare è “brutto”, le reazioni a quel contenuto nella migliore delle ipotesi saranno “brutte”. Nella peggiore verrete ignorati. Punto.
  • quando scrivo “sponsorizzare un post” non vi sto invitando assolutamente (mai, neppure sotto tortura!) a lanciarvi senza cognizione di causa nel self advertising, convinti che con un profilo Facebook e una carta di credito prepagata possiate cambiare le sorti del vostro business a colpi di “boost your post“. Le cose sono un tantino più complicate di così. Ed io ho il dovere di sottolinearvelo.

Ora possiamo procedere.

 

Facebook è un paid medium e come tale dev’essere trattato. Facebook oggi (fine luglio 2016), (non solo) in Italia, è il miglior strumento che le aziende hanno a disposizione per distribuire contenuto. Una constatazione, più che un’ipotesi, suffragata dalle seguenti “prove” inconfutabili:

  • numero e trasversalità socio demografica degli utenti, nonché la quantità di tempo trascorso all’interno della piattaforma (i dati finanziari del Q2 2016 sono bestiali!);
  • enorme profondità di profilazione, alimentata dalla gigantesca mole di dati più o meno consapevolmente dati in pasto alla piattaforma;
  • funzionalità all’avanguardia, sia a livello macro (retargeting dinamico, per esempio) sia a livello micro (penso a lead ads e canvas), fornite a getto continuo grazie all’incessante sviluppo tecnologico della piattaforma.

E non è un caso se due delle tre “prove” hanno a che fare sostanzialmente con la pubblicità: Facebook è a tutti gli effetti un paid medium (e sono anni che è così!). Ed è nella sua essenza di strumento pubblicitario che dev’essere valutato come uno dei possibili strumenti di marketing per le aziende. Semplice.

 

La reach organica è più costosa della reach a pagamento. Se consideriamo la possibilità di utilizzare Facebook come canale di comunicazione aziendale senza prevedere un investimento specifico per la distribuzione del contenuto che vogliamo comunicare, stiamo in realtà sbagliando approccio: siamo convinti di spendere di meno quando in realtà spendiamo di più.

Che cosa voglio dire con questa frase all’apparenza contorta?

Voglio dire che la portata organica oggi è molto (ma molto!) più costosa della portata a pagamento.Voglio dire che costa molto di più (e per costo il sottoscritto intende sempre il terzetto denaro, fatica, tempo!) ottenere risultati senza investire nello sponsorizzare i propri contenuti.

Se partiamo dal presupposto di voler risparmiare non è limitando l’investimento pubblicitario che possiamo raggiungere questo obiettivo. Altrettanto semplice.

 

Il lavoro del social media / community manager in relazione alla creazione del piano editoriale dev’essere probabilmente ripensato. Se le cose stanno effettivamente così (e se lo scrivo è perché ci credo veramente!), se cioè possiamo considerare Facebook a tutti gli effetti come uno strumento pubblicitario e di conseguenza prevedere sempre e comunque un investimento per utilizzarlo paradossalmente nella maniera più economica possibile, è impossibile non fermarsi a riflettere sulla possibilità di scardinare alcune concezioni dogmatiche del social media marketing, in relazione soprattutto al piano editoriale, con l’obiettivo di ottimizzare il rapporto costi/benefici dell’attività:

  • frequenza di pubblicazione e  “scadenza” del contenuto: in principio era “pubblica almeno tre volte al giorno per raggiungere con costanza la tua fan base“. Poi divenne “una volta al giorno per evitare di essere ridondante“. Infine “tre volte alla settimana: tutte le agenzie vendono pacchetti da 3 post a settimana, ci sarà un motivo!“.Ebbene signore e signori oggi vi dirò una cosa che cambierà le vostre prospettive a proposito della fatidica domanda: “quante volte pubblico alla settimana su Facebook?“.

    Pubblicate tutte le volte che volete a patto di avere qualcosa di rilevante da dire e la possibilità di sponsorizzare ciò che postate, per mostrarlo ad un pubblico potenzialmente interessato. Banalizzo. Avete tanto budget? Potete pubblicare spesso frammentando quel budget su tanti post o pubblicare meno spesso investendo di più su ciascuno dei post che pubblicate. Direi che questa specifica scelta dipende anche da quanto è “costato” il singolo post e da quanta importanza riveste per il vostro business in quel particolare momento. Avete poco budget? Pubblicate meno, solo quello che vale veramente la pena e usate il poco budget per mostrarlo a chi veramente se lo merita. Dovrebbe essere chiaro a questo punto che la vituperata “scadenza” del contenuto smette di essere una questione algoritmica per trasformarsi in una questione strategica: un contenuto pertanto durerà quanto deciderete di farlo durare.

  • la qualità e la specificità di ogni post: se il fatto di pagare per mostrare ogni singolo post dovrebbe avere la conseguenza diretta di costringerci ad alzare il livello qualitativo di quello che pubblichiamo (non vogliamo né dobbiamo mica spendere per pubblicare cose irrilevanti, giusto?) è corretto sottolineare anche che il piano editoriale dovrebbe essere creato tenendo sempre e comunque in considerazione le peculiarità di profilazione del pubblico su cui si andrà a distribuire a pagamento.

    In TWOW già da qualche tempo creiamo il piano editoriale del cliente tenendo ben presente questa cosa.E la prospettiva di scervellarsi per soddisfare i bisogni specifici di nicchie di pubblico verticali in relazione ad un servizio/prodotto risulta sinceramente molto più affascinante e stimolante rispetto a quella di soddisfare l’ego di aziende ed imprenditori all’insegna del “quanto siamo buoni e quanto siamo belli e quanto siamo leader del mercato”. E quando un’attività genera risultati, l’ego (di tutti) è comunque soddisfatto, fidatevi.

  • KPI e vanity metrics: in questa nuova prospettiva cambia anche l’importanza dei KPI su cui siamo soliti valutare l’attività social e confrontarci con i competitor. Se la fan base diventa sempre di più un accessorio meramente “estetico” (spesso costo per click o costo per engagement di un pubblico verticale selezionato a tavolino per un contenuto specifico è comparabile se non inferiore a quello della fan base, che 9 volte su 10 è stata fatta in maniera discutibile – mai sentito parlare di non invitare amici a caso a mettere mi piace alle vostre pagine solo per fare numero? –, l’obiettivo massimo (mi verrebbe da dire unico!) quando parliamo di vanity metrics risulta essere la condivisione, lo share (per approfondire l’argomento metriche vi rimando al mio ebook sul Social Media ROI scaricabile gratuitamente).

    Abbastanza semplice capirne il perché: se l’utente si porta in timeline un vostro contenuto sponsorizzato ecco che la parolina NON magica “sponsorizzato” scompare e tutto quello che verrà fuori dal vostro contenuto non più sponsorizzato sarà tutto di guadagnato (quelli bravi direbbero: “passaggio da paid a earned medium!”).p.s. non ditelo a nessuno ma cose molto simili a queste le anticipavo già a Marzo 2014 senza per nulla essere un luminare. Per dire…

  • le competenze del social media / community manager: possiamo accettare tutto questo ambaradam e nello stesso tempo lasciare che i profili vengano gestiti da risorse umane che non hanno la minima competenza e consapevolezza rispetto a questa evoluzione? Beh, io penso proprio di no.Il social media/ community manager oggi non può sopravvivere senza competenze legate alle dinamiche della piattaforma pubblicitaria. Per capirci: non si deve per forza occupare della gestione delle campagne o maneggiare perfettamente ads manager e power editor ma sicuramente deve essere in grado di elaborare un piano editoriale che tenga anche conto almeno del budget pubblicitario a disposizione e delle tipologie di profilazione del pubblico che Facebook mette a disposizione.

    Non ha molto senso progettare un piano editoriale che non sia totalmente integrato ad un piano pubblicitario. La programmazione editoriale deve contenere al suo interno una programmazione della distribuzione del contenuto. Chi pensa di poter andare avanti senza adattarsi a questa situazione si dimostra poco lungimirante e sta sprecando una grossa opportunità, oltre che (ancora una volta, paradossalmente) tempo e soldi.

 

Ah, dimenticavo, la voglia di scrivere questo articolo me l’hanno data le tante reazioni a questo post pubblicato sulla pagina Facebook.

Che la discussione… continui.