fb-content-distributionSono mesi che analizzo costantemente l’evoluzione dell’algoritmo di Facebook legata alla distribuzione organica dei contenuti pubblicati sulla piattaforma da pagine aziendali.

Negli ultimi giorni, il team di Social@Ogilvy è arrivato addirittura ad ipotizzare (in uno studio che naturalmente vi consiglio di leggere!)  Facebook Zero, ovvero la fine della portata organica

By February 2014, according to a Social@Ogilvy analysis, organic reach hovered at 6 percent, a decline of 49 percent from peak levels in October. For large pages with more than 500,000 Likes, organic reach hit 2 percent in February. (…) And Facebook sources were unofficially advising community managers to expect it to approach zero in the foreseeable future.

Le reazioni globali a questi numeri sono state tendenzialmente prese di posizione piuttosto forti contro Facebook e la sua tendenza a monetizzare in maniera sempre più spinta attraverso l’advertising, destinato a diventare l’unico mezzo per comunicare anche con gli utenti già fan delle pagine. Ciò che principalmente viene imputato, dai professionisti del settore alla creatura di Zuckerberg, è infatti il passaggio, mai pubblicamente ed esplicitamente dichiarato, da owned media a paid media.

 

Nonostante le percentuali prospettate dallo studio non corrispondano a quanto vedo quotidianamente sulla trentina di pagine che gestisco, più o meno direttamente con il mio network di collaboratori, devo ammettere che la distribuzione organica dei post pubblicati sulle pagine risulta effettivamente in calo (in alcuni casi il calo è piuttosto vistoso).

 

 

Eppure, nonostante ciò, continuo a pensarla un po’ diversamente dalla maggior parte dei colleghi, ed è per questo che ho deciso di scrivere questo post con l’obiettivo di provare a mettere un po’ di ordine nella questione condividendo alcuni spunti di riflessione. Facebook è ormai da tempo un canale ibrido, al medesimo tempo owned e paid media. Ad ottobre del 2012, da queste parti, scrivevo un post dal titolo “Perché il Facebook Marketing è roba da grandi (brand)” nel quale (sintetizzando al massimo, chi vuole lo legga per intero) sostenevo che Facebook si stava già apprestando a diventare una piattaforma adatta esclusivamente a chi avesse avuto la possibilità di investire qualitativamente nei contenuti e quantitativamente nella loro distribuzione e che chi non fosse stato in grado di investire in questi due ambiti si sarebbe dovuto cercare (non con difficoltà) alternative in altre piattaforme. Non ieri, oltre un anno e mezzo fa… L’investimento per la distribuzione del contenuto non modifica le dinamica essenziale di Facebook: il passaparola tra contatti. La componente da earned media, all’insegna della fiducia tra nodi vicini della rete (tra “amici”) resta alla base della piattaforma, come ho provato a schematizzare nello schema qui sotto (era un po’ che non vi deliziavo con uno dei miei celebri schemi, vero…?!?).

 

La portata virale continua a dipendere essenzialmente dalla capacità di coinvolgere gli utenti, di fornire valore aggiunto e questo anche attraverso contenuto sponsorizzato. Dovendo investire nella distribuzione (forse) si farà più attenzione alla qualità e alla quantità dei contenuti. Se ci “togliamo il cappello” da marketer ed indossiamo per qualche minuto quello da utenti, non possiamo non renderci conto di due cose: la prima è che sicuramente le aziende che pagheranno per mostrarci il loro contenuto dovranno scervellarsi nel mostrarci qualcosa che ci interessi veramente o avranno buttato via i loro soldi; secondo che la tattica di inondarci di post (spesso idiozie!), più volte al giorno, con la speranza di aggirare l’algoritmo e raggiungere più utenti possibili forse finirà nel dimenticatoio: pochi post ma buoni. Davvero questa è una brutta notizia? La differenza (di qualità) la farà l’attenzione al cliente. Questi cambiamenti ipotizzati che investiranno in misura massiccia  la distribuzione del contenuto in uscita (teoricamente riducendone la quantità ed aumentandone la qualità), dovrebbero rendere fisiologicamente più importante l’attività di attenzione alla comunicazione in entrata. In questo senso, il social care appare destinato a ritagliarsi uno spazio sempre più di rilievo laddove diventa canale rapido di risoluzione dei problemi di un cliente sempre più esigente e consapevole del proprio valore (quello che ho definito da queste parti il social customer). Vi lascio con una provocazione su cui vi chiedo di riflettere: davvero pensate che la distribuzione organica costi o vi sia costata di meno della distribuzione a pagamento? Io non ne sono così sicuro. E, a quanto pare, non sono il solo. Fine delle favole…

Sullo stesso tema in Italia hanno scritto:

Mafe De Baggis
Gabriele Persi
Francesco Gavello
Luca Della Dora
Giorgio Soffiato
Veronica Gentili

Fuori dall’Italia invece:

Jason Falls
Cotton Delo
Michelle Castillo
Jon Loomer
Liz Gross
Josh Constine
Ben Harper

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