Si è discusso di nuovo, tanto e forse anche troppo di un classicissimo del social media marketing: l’acquisto di fans/followers con conseguente taroccamento dei numeri delle “pagine sociali” di chi farebbe uso di tal pratica.
Anche qui se n’è già parlato, soprattutto in tre occasioni:
- la prima volta interrogandosi sulla necessità di un’etica nell’incontro tra web sociale e marketing;
- la seconda volta cercando di capire tutti i segreti del fenomeno direttamente dall’interno con un’intervista a chi di mestiere fa il “contrabbandiere di seguaci”;
- la terza volta analizzando le possibile sventure che possono capitare a chi viene colto con le mani nel sacco.
Credo che la vicenda possa essere tranquillamente chiusa, anche a questo giro senza scalpore, ma con tantissima saggezza prestando molta (ma molta!) attenzione alle parole del maestro GB Artieri:
I social network non sono la televisione. Ci sembra così evidente quando contrapponiamo orizzontalità a verticalità, partecipazione a pubblico, il dire all’ascoltare. Eppure quando pensiamo a misurarne l’efficacia od il successo cadiamo nella mitologia della quantità. La stessa che ha segnato il nostro sguardo sul successo dei media di massa lungo il novecento. Ci chiediamo qual è l’audience di una pagina Facebook, chi sono i lettori di un profilo Twitter, gli spettatori di un video su YouTube. O meglio: ce lo chiediamo per misurare poi l’efficacia di una pagina su Facebook di un brand misurandone i like o di una celebrity che è tale perché ha su Twitter molti follower e così via…
Mi chiedo quando riusciremo finalmente a liberare la mente dalle dinamiche quantitative figlie del triangolo pubblicitario (televisivo) “impression – profilazione – interruzione“.
D’altronde…
l’operazione che prima di tutto dobbiamo fare è culturale: capire il valore qualitativo della quantità e trovare modi efficaci di analizzarlo e raccontarlo.
G.B. Artieri da “I social network non sono la televisione”
Io sottoscrivo. E voi?