Chi trova un amico trova un tesoro. Chi trova 2000 amici, sta usando il suo profilo di Facebook.
Il costante ritornello che indica nei numeri gli indicatori del successo “sociale” risulta ormai monotono e stancante.
Ridurre ad una semplice cifra la nostra capacità di socializzare è una maniera fin troppo semplicistica di ingannarsi e, ancora peggio, di forzare la conversione degli spazi sociali in qualcosa di davvero assurdo.
Cibarsi letteralmente di contatti e raggiungere cifre inimmaginabili di seguaci, followers, fan e chi più ne ha più ne metta, non ha alcun valore in più di mettersi a collezionare figurine e, per di più, senza album.
E se ci concentriamo sulle marche, il fenomeno sembra andare ancora oltre: migliaia di presunti fan si stringono negli spazi sociali progettati dalle aziende, mostrando la propria fidelizzazione attraverso un semplice clic… Però tutti ormai sappiamo che un “mi piace” non vale una vendita. E che, di certo, l’equazione “maggior numero di fan = maggior numero di clienti” non è sempre realistica.
In questo senso, la smania di accumulare followers in maniera abusiva, anarchica ed egocentrica ci sta convertendo in semplici collezionisti.
E questo è talmente lampante, che se ci domandiamo dove è andato a finire il dialogo, vera essenza della comunicazione 2.0, probabilmente finiremo per parlare da soli.
Eppure, non ci si deve disperare, né tanto meno mettere in dubbio il vero valore delle reti sociali: la situazione attuale può e deve trasformarsi. L’unica cosa che dovremmo fare è convertire questa capacità di contatto in qualcosa di realmente rilevante e produttivo per noi e per gli altri.
Credo che sia giunto il momento che le esperienze che apportiamo attraverso i nostri spazi si focalizzino su cose, piccole e grandi, realmente utili.
Ed è utile promuovere questo necessario cambiamento sociale affinché impatti in pieno sulla promozione della educazione, il superamento della crisi economica, la gestione dei problemi, piccoli e grandi, individuali e collettivi, lo sviluppo di idee rivoluzionarie, per esempio… In breve, spingere verso la creazione partecipata di immenso spazio di social crowdsourcing che permetta finalmente di rendere sensata e redditizia la nostra presenza.
Aiutare gli altri è senza dubbio uno scopo nobile. Soprattutto perché ci permetterebbe di entrare in una dinamica del tipo “aiutarci, aiutandoci tra tutti”.
Sono convinto che l’imminente razionalizzazione nell’utilizzo dei social network, a prescindere dalla piattaforma utilizzata, permetterà che il successo sia decretato dalla qualità di quello che proiettiamo, dalla capacità di generare cambiamento, di dar spinta alla collaborazione… E non tanto, nella nostra capacità di immagazzinare seguaci.
Verrà un giorno in cui le marche smetteranno di elemosinare fan nei propri profili, bacheche e timeline con l’obiettivo di giustificarsi, assumendosi un ruolo più sociale ed impegnato con i propri potenziali clienti, a cui regaleranno esperienze di cambiamento e trasformazione sociale che renderanno l’acquisto un’azione ben più complessa di una semplice acquisizione di un prodotto.
Verrà un giorno in cui i social network torneranno ad essere realmente sociali.
Verrà un giorno in cui l’utilità dei social network andrà ben oltre il “parlare“.
Senza dubbio.
Traduzione libera di Las redes “sociales” no existen… de momento, di Juan Boronat Martin, Lasblogenpunto.
Immagine via Tiragraffi