Ci sono ricerche che acquistano grande popolarità online grazie al valore dei dati che forniscono unito ad una buona dose di strumentabilità che si portano appresso e che tanto fa gola ai “cacciatori di titoloni” della blogosfera (e non solo) mondiale.
Una di queste ricerche, che difficilmente vi sarà sfuggita se bazzicate più o meno il settore, è “The Value of a Facebook Fan 2013“ di Syncapse (scaricabile gratuitamente) che si concentra sul valore economico che un fan di Facebook rappresenta per un’azienda. Tale valore viene identificato nella ragguardevole cifra di 174 Dollari.
Per non ripetere quanto già scritto (bene peraltro) da altri vi invito a leggere un sunto dello studio scritto dal sempre attento Stefano Maggi di We Are Social.
Personalmente, la ricerca di Syncapse mi ha dato modo di riflettere a lungo (almeno una settimana che ci sono “sopra”) su tutta una serie di questioni legate ai percorsi di conversione degli utenti/clienti a seconda di alcune variabili tra cui la tipologia (e grandezza) del brand di riferimento piuttosto che al valore del fan che considero da solo poco saliente. Provo nelle righe successive a riportare i miei ragionamenti.
Ma andiamo con ordine…
Diciamo che il succo dell’analisi è dato dal confrontare tra loro i comportamenti tra FAN e NON FAN di una determinata marca nei confronti dei servizi/prodotti della marca stessa. Ed il confronto porta, a mio parere, ad una serie di conclusioni piuttosto prevedibili e non particolarmente significative:
- chi è fan di (almeno) una pagina Facebook (e che quindi si relazione anche con le marche) chiaramente utilizza la piattaforma più per scopi anche commerciali rispetto a chi preferisce usarla per restare solamente in contatto con gli amici.
- una fan di Zara su Facebook spenderà quasi sicuramente di più in prodotti del marchio rispetto a chi magari da Zara ci ha comprato così per caso e non fa particolare attenzione a quella specifica tipologia di capi d’abbigliamento.
- un fan di BMW molto probabilmente quando è intervistato esprime con più veemenza il desiderio di comprarsi proprio quel modello di auto rispetto a chi magari di auto proprio non si interessa nemmeno (e quindi non è fan di BMW!).
Meno scontato e quindi più interessante il dato relativo alla migliore percezione del brand da parte dei “likers“, dimostrato soprattutto dalla maggiore volontà a consigliarne l’utilizzo ai propri contatti.
Tutto comunque torna quando ci si focalizza sulla tipologia di marchio preso in esame (Zara, Levi’s, Coca Cola, Disney…), ovvero con enorme esposizione mediatica e riconoscibilità internazionale. E’ chiaro che (e chi ha compiuto l’analisi giustamente lo sottolinea) si tratta di pagine la cui acquisizione del fan avviene quando l’utente è in qualche modo già cliente o almeno conosce bene l’azienda con cui decide di instaurare un rapporto anche all’interno di Facebook (nel disegno che segue caso 1).
Meno chiaro è (e la ricerca non ce lo dice) quale possa essere il valore di un fan quando Facebook viene utilizzato come punto di contatto con utenti che non sono ancora clienti e/o non conoscono, nemmeno in misura minima, l’azienda con cui decidono di interagire (caso 2).
Questa situazione specifica caso 2) non è altro che la tipica situazione in cui si trovano le PMI italiane che “si giocano” l’apertura al social web con l’unico (e ultimo prima di chiudere mi verrebbe da dire…) obiettivo di individuare nuovi clienti realmente interessati ai loro servizi/prodotti. Una mossa che sa tanto di “mission impossible“…
Vado sostenendo da tempo, soprattutto vedendo come si sono evolute la piattaforma e la sua utenza, che Facebook sia sempre più adatto ai grandi brand (nonostante qualche contentino di pubblicità “fai da te” più dannosa che altro…) soprattutto per la possibilità di sostenere in maniera più agevole il triangolo “investimento – organizzazione – programmazione”.
La ricerca di Syncapse dimostra probabilmente (opinione personale, non ci sono controprove statistiche) che il vantaggio competitivo dei big è dovuto anche al loro essere già presenti in qualche modo nell’immaginario collettivo degli utenti.
Eppure la rinuncia ad un bacino d’utenza reattivo e “profilabile” nella maniera più completa disponibile al momento (le potenzialità dell’Open Graph diventeranno più chiare a tutti nel momento dello sdoganamento ufficiale della Graph Search) potrebbe non essere la mossa più idonea neppure per le realtà più piccole che interagendo con la propria nicchia possono ancora pensare di fare la differenza.
Tralasciando il calcolo del valore di un fan, metrica secondaria e influenzabile da mille variabili soggettive, è chiaro che sono essenzialmente due i punti critici di ogni strategia su Facebook (siamo ancora naturalmente nel caso 2): l’acquisizione del fan e la trasformazione del fan in cliente.
Entrambi i punti, con le loro sfaccettature, che dipendono soprattutto da tipologia di prodotto/azienda e risorse a disposizione, vanno curati in maniera strategica valutando la creazione dettagliata di percorsi di conversione per gli utenti.
Un percorso di conversione è semplicemente la strada che compie un utente dal momento in cui entra in contatto con un servizio/prodotto/marchio (anche passivamente) fino a quando decide di compiere un’azione proattiva nei suoi confronti: per esempio dal momento in cui un utente viene intercettato tramite un’inserzione su Facebook ed entra nella community fino all’acquisto nel caso di un ecommerce o la richiesta del preventivo nel caso di iniziative di lead generation.
Questa tipologia di “architettura”, che va creata a tavolino e successivamente testata, modellata e rimodellata a seconda della risposta degli utenti (ecco l’importanza di una reportistica dettagliata!), è alla base di ogni possibilità di successo (marchio o non marchio!) su Facebook. Viene da sé che tutto questo mix di operazioni strategiche ed operative piuttosto dispendiose non possa essere pensato, programmato, creato e gestito a livello amatoriale (altro colpo nei confronti della “pubblicità fai da te”!) e che la sua sostenibilità (vantaggio economico che produce > investimento necessario per produrlo!) debba venire prima di tutto il resto.
Nelle prossime settimane cercherò di affrontare ancora da queste parti il tema dei percorsi di conversione all’interno di strategie di comunicazione digitale soffermandomi sulle peculiarità di ciò che il social web può offrire concretamente oggi alle aziende italiane (se vi fosse sfuggito qualche tempo fa ho scritto a proposito di Twitter).