E’ sempre più evidente il fatto che il giornalismo necessiti di una lezione sulla maniera più appropriata di abitare il social web ed in particolar modo sulle spesso indigeste specifiche dinamiche di Twitter.
Sta diventando, purtroppo, abitudine trovarsi di fronte a strafalcioni grossolani di matrice giornalistica causati da un utilizzo non corretto dei social media.
Il caso Alemanno è solo l’ultimo e più plateale (non tanto per il falso profilo, quanto per il fatto che tra gli utenti che hanno “abboccato” non c’era solo Rita Dalla Chiesa ma anche “La Repubblica” di Roma!) di una lunga serie. Chiedete a Giovanna Gallo per un altro esempio di simile tenore.
GB Artieri lo chiama sbrigatismo informativo, Alessandra Farabegoli (invitando la categoria a formarsi!) “sbrigativismo”. Io dico che siamo di fronte a dimostrazioni di scarsa professionalità e a gravi peccati di presunzione.
Se non può e non deve essere un delitto il non saper usare Twitter o Facebook per un giornalista (tralasciando anche che lo stesso ruolo del giornalista nel 2012 potrebbe prevedere anche una serie di competenze di questo tipo…), lo è invece affrontare il proprio mestiere senza un minimo di buon senso, interpretando, a proprio piacimento, le dinamiche di un canale di comunicazione così specifico.
La conclusione è spesso la medesima (a proposito di buon senso): nulla si inventa e il “fai da te” non premia mai.
E sia chiaro: i “social”, anche questa volta, non c’entrano niente!
Interessante anche che, poco a poco, qualche redazione cominci a palesare la necessità di una regolamentazione nel rapporto tra giornalisti e social media, anche se per il momento ciò che emerge non è molto incoraggiante.
UPDATE: dopo Sky News, anche BBC ha introdotto una serie di regole per i propri dipendenti, sull’utilizzo dei social media.