Ho il piacere di ospitare oggi, per la prima volta e dopo un lungo periodo di “corteggiamento”, la mia dolce metà professionale Emanuela Genovesi Picasso (chi ha avuto a che fare professionalmente con il sottoscritto sicuramente conosce Emanuela, almeno per “sentito dire”), partita da qualche giorno alla volta degli States per un’esperienza formativa.

“Una Web Marketer a S.Francisco”
vuole essere una guest section periodica del blog in cui Emanuela ci racconti la sua esperienza tra corsi di formazione altamente professionali, startup, venture capitalist, eventi e business networking in una delle capitali mondiali dell’ICT.

Io, conoscendola, dico che ne leggeremo delle belle…

Un saluto a tutti voi da San Francisco, ringraziando Paolo per l’opportunità di tenere questa rubrica sulla mia esperienza in Silicon Valley. Cercherò di farlo riportandovi idee, spunti, possibilità e curiosità da questa vulcanica zona del mondo che negli ultimi anni, in totale controtendenza con il mercato circostante, ha continuato a crescere e a portare innovazione soprattutto nel settore ICT.

In questo esordio voglio raccontarvi del primo impatto con la città e quelle che sono le caratteristiche che mi hanno colpito.

Lo scontro è abbastanza scioccante, tra fuso orario, lingua, differenze culturali, culinarie e avanti cosi. La prima cosa che colpisce è la disponibilità e l’apertura delle persone, ti fermano per la strada chiedendoti come stai, come è stata la tua giornata di lavoro, e all’inizio sembra davvero strano!

Questo si riporta anche nel mondo business, perché la possibilità di creare partnership qui appare davvero alta. Le persone sono collaborative e aperte ad ascoltare quello che hai da proporre (value proposition), perché sono davvero interessate a collaborare con persone di valore.

Tutti i giorni vengono organizzati eventi di ogni tipo, dove è possibile conoscere persone, stringere partnership, trovare investitori. La cosa difficile è che spesso questi eventi si traducono in un’accozzaglia di persone con obbiettivi diversi che producono un’evidente confusione.

La necessità è quella di far emergere il proprio valore in poche parole, mentre la difficoltà è quella di distinguere quali sono gli eventi giusti a cui partecipare e quali sono i contatti che possono essere davvero utili: il rischio è la dispersione di tempo. In ogni caso fondamentale è armarsi di biglietto da visita e iniziare ad interagire con le persone prima e dopo gli eventi. Gli stimoli arrivano a valanga e piano piano si inizia a capire come orientarsi.

Un altro elemento che vorrei porre all’attenzione è la penetrazione dell’utilizzo degli strumenti mobile: qui davvero tutti utilizzano uno smartphone e questo permette di realizzare strategie di marketing funzionali attraverso questi device.

Ovunque sono presenti QRcode, e riferimenti a Facebook, Twitter, Linkedin, Pinterest, e chi più ne ha più ne metta. Se si guardano le mappe di applicazioni come Foursquare o simili, si ha la possibilità di vivere molteplici tipi di user experiences. Forse ci sono troppi stimoli, ma a differenza dell’Italia, dove si ha la sensazione che tutto nasca dalla volontà di una singola azienda di porsi come innovatrice, l’interazione qui è reale, vissuta e si percepisce per davvero.

Le motivazioni che spingono gli utenti all’utilizzo non sono solo legate all’entertainment, ma spesso è la funzionalità del mezzo che permette di accedere ad un servizio in maniera più veloce ed efficace, ad esempio per evitare banalmente una coda: time is money!

Gli utenti si relazionano costantemente con le aziende e con l’advertising che li circonda attraverso i propri device: è possibile prenotare il caffè attraverso un’applicazione e le persone lo fanno davvero e dall’altra parte il commerciante che riceve la richiesta sa come gestirla e non è spiazzato dall’utilizzo di queste tecnologie alternative, semplicemente perché si integrano in maniera semplice nel suo flusso di lavoro.

Questo non è per criticare il nostro paese. Non siamo gli USA e non lo saremo mai. Sicuramente qui esistono più possibilità, ma anche la concorrenza è alta e per raggiungere risultati bisogna lavorare sodo e non lasciarsi abbattere dalle sconfitte.

Un’altra caratteristica che mi ha affascinato degli americani e il diverso approccio che hanno al fallimento, che viene visto come un elemento di crescita da cui imparare e sul quale non versare troppe lacrime. Lo spirito è quello di rimboccarsi le maniche e ricominciare da capo imparando dai propri errori.
Sicuramente in questo ambiente si possono raccogliere tanti stimoli e idee che potrebbero poi essere ricontestualizzate sul nostro mercato e sul nostro target, anche perché gli italiani sono molto diversi dagli americani (e in alcuni casi, lasciatemelo dire, meglio così!).

Nelle prossime settimane ho in programma, alcune interviste, numerosi eventi e interessanti visite ad aziende come Google e Facebook, vi farò sapere quali sono le mie riflessioni. A presto!